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  • 22 novembre 2020

Io, Belisario condottiero diviso tra poteri e affetti. Intervista sull’ Eco di Bergamo

Io, Belisario
condottiero diviso
tra potere e affetti»
L’intervista. Il baritono Roberto Frontali stasera
sulla web tv sarà l’eroe donizettiano: sceglie la patria
e sacrifica il figlio, passa per fellone e poi ritrova l’onore»
BERNARDINO ZAPPA
Dopo Marino Faliero, tocca a un altro grande condottiero donizettiano. «Belisario» (stasera alle 20, in streaming sulla web tv Donizetti dalle 19.30, www.donizetti.org) è il secondo titolo del Festival Donizetti Opera 2020. Sul podio dell’Orchestra e del Coro del Donizetti Opera (direttore Fa- bio Tartari) ci sarà Riccardo Frizza. Tra i protagonisti Car- mela Remigio (Antonina), il basso Simon Lim (Giustiniano), Annalisa Stroppa (Irene), il tenore Celso Abelo (Alamiro), il soprano Anaïs Mejías (Eudora).
L’esecuzione in forma scenica avrà come protagonista il baritono Roberto Frontali, nei panni di Belisario. Classe 1958, romano, esperto di belcanto – Rossini, Bellini e Donizetti – si esibisce nei maggiori teatri al mondo, dal Metropolitan di New York alla Scala, sotto la guida delle maggiori bacchette, da Muti a Mehta.
Come è nato il suo approdo a Bergamo, in sostituzione di Domingo? «Bergamo è un avamposto oggi, tutti i teatri sono chiusi. Con Riccardo Frizza c’eravamo visti per un concorso dedicato ai migliori allievi dei conservatori, in ottobre, e parlando gli dissi che stavo preparando anch’io Belisario, a Vienna, anche se là ora il quadro è abbastanza grave. Per me questa produzione a Bergamo è un ritorno. Nel 1995 ho fatto un Campanello con la regia di Dara e poi non mi era più capitato di tornarci».
Lei ha cantato spesso Donizetti…
«Sì, a inizio carriera in particolare. Con Gavazzeni a Ravenna ho fatto Poliuto, poi a Bologna Devereux. Gavazzeni è stato l’artefice della Donizetti renaissance, esser guidato da lui è stato un privilegio: era un pozzo di scienza, ascoltarlo era un piacere. Nel repertorio donizettiano era una guida, sempre gentile. Ho fatto Don Pasquale con Muti alla Scala, ho debuttato al Met con Elisir, ho fatto Lucia con Mehta al Maggio fiorentino e in Giappone».
Da cantante come vede il canto, il lirismo di Donizetti? «Donizetti è un protagonista del bel canto: ti aiuta ad affron- tare i repertori più diversi, con lui si canta sulla morbidezza, è quasi un massaggio per la voce. Donizetti ti permette di imparare a gestire la voce e poi, coll’esperienza si affrontano repertori più complessi».
Come le sembra il suo personaggio, Belisario?
«Non capisco come sia uscito dal repertorio: è un’opera davvero molto interessante. Ricorda Simon Boccanegra di Verdi: il baritono non ha un’aria chiusa, ricorda il Verdi più maturo, che non scrive più arie ma scene. È un titolo molto moderno, come dicevo: è un padre al quadrato, un padre due volte, sia del tenore che del mezzosoprano, anche se non sa che Alamiro è suo figlio».
Come mai allora questo relativo interesse?
«L’unica spiegazione che posso pensare è che non ci sono arie né duetti tradizionali. Non essendoci duetti né arie per soprano e tenore, l’antagonista di Belisario è la moglie, che accusa il marito di aver lasciato morire il figlio. Questo perché Belisario in sogno era stato informato che Bisanzio sarebbe stata distrutta. Allora per salvar la città sacrifica il figlio. Sceglie la patria e il figlio viene abbandonato, come successe a Romolo e Remo, anche se poi sarà salvato».
Che personaggio è Belisario?
«Si divide tra potere e affetti, come spesso si trova nel repertorio romantico. È molto interessante il suo sviluppo: da eroe si trova improvvisamente scaraventato in una situazione in cui passa per fellone, viene imprigionato e accecato, perde tutto. Fino a tornare il condottiero di una volta, che comunque rifiuta di attaccare e distruggere Bisanzio che pure lo aveva condannato».
Come ha scelto di fare il cantante?
«Mi piaceva sempre cantare, in casa avevo un pianoforte non accordato: non avevo per altro musicisti in famiglia… poi all’università – sono laureato in economia e commercio – c’era un coro universitario che faceva musica polifonica. Lì mi sono appassionato alla musica seria. Però il maestro mi diceva che la mia voce spiccava troppo, e mi chiese perché non andassi al conservatorio. Di fatto mi … cacciò. Da lì ho iniziato gli studi… Nel 1985 ho vinto il concorso a Spoleto e ho subito debut- tato all’Opera di Roma, conMontserrat Caballé».
Secondo lei cosa serve per far appassionare il pubblico all’opera ? «Per portare gente in teatro ci vogliono idee. Ci sono registi che lavorano su questo, sempre rispettando quello che l’autore ha scritto. Così si possono fare cose che piacciono ai giovani. Bisogna far capire l’attualità dell’opera, e non è facile, la gente già fatica ad andare alla prosa. Poi, quando inizia si appassiona, perché la musica è qualcosa che ti entra dentro. Specialmente la musica col canto: è qualcosa di palpabile che ti dà emozioni enormi. La voce umana ha potenzialità incredibili».
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