Un personaggio che anticipa i tratti dei grandi padri verdiani. Così il baritono Roberto Frontali racconta Belisario di Gaetano Donizetti, l’opera di cui sarà protagonista a Bergamo, uno dei tre titoli in programma al Festival che la città dedica al suo più illustre figlio e che quest’anno torna nel restaurato Teatro Donizetti. Il melodramma, allestito in forma di concerto sarà visibile (e udibile) online sulla nuova Donizetti web tv sul sito www.donizetti.org/tv sabato 21 novembre a partire dalle ore 19.30. Belisario (andato in scena a Venezia nel 1836 e presentato nell’edizione critica di Ottavio Sbragia), accanto a Frontali, che subentra a Plácido Domingo, vedrà sul palco anche Simon Lim, Carmela Remigio (che sostituisce la prevista Davinia Rodriguez), Annalisa Stroppa e Celso Albelo, ai quali si affiancano Anaïs Mejías, Klodjan Kacani, Stefano Gentili, Matteo Castrignano e Piermarco Vinas Mazzoleni. Sul podio dell’Orchestra Donizetti Opera, il direttore musicale del Festival Riccardo Frizza.
“Sono davvero felice di tornare a Bergamo – spiega Frontali – dove ho cantato una sola volta, nel 1993 nel Campanello di Donizetti. Per me, è una sorta di ritorno alle origini: io nasco come belcantista, ho fatto tanto Donizetti, Rossini e Bellini a inizio carriera. Poi, mi trovo molto bene con tutto il cast e con il maestro Frizza”.
Una domanda… scomoda. Come si sente nei panni di sostituto di Plácido Domingo?
Una bella responsabilità. Ho lavorato con Domingo tante volte, sia al suo fianco sia in allestimenti da lui diretti e nei suoi teatri. Abbiamo anche condiviso dei ruoli, come ad esempio a Vienna un paio di anni fa, dove ci alternavamo in Macbeth. Domingo resta sempre un personaggio indiscutibile, che ha fatto la storia dell’opera lirica. In più, ha un’aura e una positività nei confronti degli altri che si trasformano in un’energia che si sente e che trasmette non solo al pubblico, ma anche ai colleghi.
Lei debutta nel ruolo di protagonista di Belisario. Ci racconti quest’opera.
Sono stato chiamato a Bergamo anche perché avevo già in programma di debuttare in Belisario, in febbraio al Teatro An Der Wien di Vienna e quindi, come si dice, l’avevo già messa in gola. Non capisco perché quest’opera sia uscita dal repertorio: è invece un titolo molto interessante e moderno. Per esempio, il protagonista non ha una sua aria vera e propria, un po’ come accade nel Verdi maturo, quando il baritono ha delle scene in cui canta senza arie e tutto questo si trasforma in teatro puro. In un certo senso, Belisario anticipa anche i padri verdiani, con questi bellissimi duetti padre-figli e lui, peraltro, è padre due volte: del tenore, anche se lo scopre nel corso degli eventi, e del mezzosoprano.
Come si presenta il ruolo dal punto di vista musicale?
Ha una vocalità tipicamente donizettiana, che fa pensare a Devereux, Poliuto o Favorita, dove c’è sempre una certa morbidezza nel canto, senza le asperità che magari si ritrovano in Verdi, ma anche con dei salti che provocano tensione a livello vocale.
L’opera sarà in forma di concerto.
Sì, a causa delle restrizioni in tema di Covid. Tuttavia, saremo in una posizione particolare, con l’orchestra sul palco e noi cantanti nello spazio della platea”.
Cosa pensa della situazione attuale dei teatri e del ricorso allo streaming?
Oggi è fondamentale essere presenti, non mollare e usare tutte le piattaforme che esistono per far capire che il nostro lavoro è importante, anche se il teatro va vissuto dal vivo. Ciò detto, i rischi ci sono, soprattutto per chi lavora: basta un caso di positività e si chiude tutto. Lavoriamo con una costante tensione addosso e non è affatto facile. Se poi accade, come è successo a me per un Macbeth a Bergen, che dopo tutto il lavoro delle prove, a causa della positività di diversi artisti, non si vada in scena, allora resta un forte senso di incompiutezza. Questo lavoro richiede una energia così forte che, se non trova sbocco sul palcoscenico, si sta male anche fisicamente.
Come ha risentito la sua carriera di questo periodo?
Come per tutti. Sono saltati molti impegni, tra cui anche un debutto, alla Scala ne L’amore dei tre re di Montemezzi.
A proposito di debutti, c’è un ruolo che le piacerebbe cantare e non ha ancora cantato?
Non mi è mai capitato di cantare I due Foscari e mi piacerebbe molto. Per il resto, mi viene in mente Don Giovanni ma ormai sono troppo vecchio, il mio sarebbe un Don Giovanni schnitlzeriano. Nella mia carriera, purtroppo, ho fatto poco Mozart. Quando ho cominciato, lo davano sempre a cantanti stranieri, non ho ben capito perché. Invece la lingua è importante e Mozart, in fondo, è anche italiano.